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Dire che il racconto CALLE DI NATALE è uno dei più riusciti è una mezza
bugia. In verità non è tutta farina del mio sacco:
mi è arrivato in un freddo pomeriggio d'inverno, mentre andavo a zonzo spingendo un passeggino tra le calli ghiacciate.
La storia che ho trascritto la mattina seguente, a differenza di altre mie, è semplice e lineare, un po' cruda e fiabesca... e forse vi emozionerà.
Ho voluto lasciarla così come mi è stata ''raccontata'', senza alterarla nel tentativo di darle una ''morale natalizia''.
Poi, curiosamente, ad un tratto ci troviamo soli, davanti alle possenti porte di vetro e ottone.
Ne spingo una lasciando uscire Matteo che subito seguo.
“Uau! Papà... che bello!” mi abbraccia.
Io lo afferro, lo alzo e lo stringo forte a me. Chiudo gli occhi finché gli annuso i capelli. Ogni volta che lo faccio, mi sembra di sentire anche il profumo di Giulia.
Non ho parole per descrivere quello che sto provando in questo momento. È come se lei fosse qui con noi e non se ne fosse mai andata; imprigionata in quell'istante di tre anni fa, ipnotizzata e rapita dalla bellezza della cupola verde di San Simeon Piccolo con sotto le colonne affondate nella nebbia magicamente fuoriuscite dall'acqua.
Guardo la curiosa chiesa, mentre la vista mi si appanna.
Appoggio a terra Matteo, mi strofino gli occhi: lacrimano!?
“Perché piangi papà?”
“Dev'essere l'aria di mare.”
Chiesa di San Simeon Piccolo
A Venezia, la notte di Natale, un dramma famigliare diventa fiaba.
Il racconto, suddiviso in tre capitoli, parte da un centro storico di provincia, spopolato dall'avvento dei grandi magazzini, precisamente, da un anacronistico negozio di camicie giunto ormai sull'orlo del collasso tra debiti e disperazione. Poi, un'ancora di salvezza: la telefonata di un vecchio amico commilitone. La fuga a Venezia; la città magica, bella e cinica o forse, semplicemente, indifferente. Tra miseria, disagio e sofferenza, arriveranno i bei momenti di felicità, quella vera, tanto cercata da ognuno di noi proprio la notte di Natale, poi... la fiaba.
Lo prendo in braccio e spingiamo un’altra porta. Entriamo in una sala enorme, vuota, forse una chiesa. Da qualche parte esce della musica di Vivaldi. Non c’è luce, ma la pala dietro all’altare principale è illuminata.
Lo metto a terra e controllo se siamo chiusi dentro al sicuro, tirando il portone. Bene! Un po’ di fortuna.
Nel frattempo Matteo si è portato sotto al grande quadro illuminato, unico punto luce dell’intera struttura.
Lo raggiungo, zoppicante. Mi fermo dietro di lui, gli afferro le mani che lui porta subito al petto.
“Che bello papà... ha tantissimi colori e luce.”
“Sì, è bellissimo.”
Un cavaliere col suo scudiero bianchissimo in mezzo ad altre persone, probabilmente tutti santi.
“Papà... è strano, ma bello.”
Mi chino verso di lui, come a dare più importanza a quello che sto per dirgli.
“Lo vedi così perché è come se il pittore avesse catturato tutti fermando il tempo.”
“Anche il cavallo?”
“Sì, anche quello.” Sorrido, “E guarda quanti particolari ha il cavallo, o il ponte con sopra l’angioletto cicciottello, le vesti... e tutto questo che te lo fa apparire strano ma bello.”
“Come si chiama?”
“Non lo so.”
“Perché c’è un pianoforte sopra all’altare?”
“Bella domanda. Forse non è proprio una chiesa... in verità ce ne sono due.”
“Sì, ma l’altro è strano.”
“Sembra strano perché è antico e viene usato per suonare la musica di Vivaldi.”
Alzo l’indice in aria; “Lo senti tra i violini?”
Matteo si gira attorno; “No.”
“Appena possiamo te lo faccio sentire, così capisci qual è.”
Mi guardo attorno sereno, anche se dolorante al ginocchio.
“Matteo! Ti va se dormiamo qui stanotte?”
“Davvero papa?”
Me lo chiede con entusiasmo; mi si apre il cuore. Lo abbraccio.
Chiesa di San Vidal - Carpaccio
copertina rigida (idea regalo)
copertina rigida (idea regalo)
Grazie Marisa.
disponibile in tutti i formati
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