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Ha! Elizabeth! Che madre.
Dopo l’ultimo incontro con Bob ho ripensato a questa donna, decisamente affascinante. Mi ero quasi completamente scordato di quando la vidi per l’ultima volta.
Robert mi diceva sempre: “vuoi sapere che tipo è mia madre? Guardati il film omonimo”. Penso si riferisse a quello dedicato alla regina.
Non gli ho mai chiesto che voleva dire, forse si riferiva a un film di Hollywood, ma sapeva benissimo che io ero solo per i libri.
L’avevo incontrata ai Giardini della Biennale, e passeggiato fino all’Isola di Sant’Elena, assieme ai suoi quattro barboncini che mi aveva obbligato a tenere al guinzaglio. Abbaiavano rabbiosi a chiunque ci passava vicino, alcuni turisti sorridevano, mentre altri mandavano le care bestiole a quel paese.
Lei non ci faceva nemmeno caso mentre parlava della Venezia di suo padre, del quartiere inglese, dell’ospedale anglosassone alla Giudecca, totalmente assorta.
Una bella donna, elegante, altezzosa, capelli corti platino alla moda e dei magnifici occhi azzurri, glaciali e attraenti. Tuttavia traspariva un che di artificiale nei suoi atteggiamenti, ma tenuto ben nascosto.
All’epoca già me ne intendevo di arte, ed ero in grado di capire in una tela se la musa dipinta cinquecento anni prima fosse stata realmente una nobile, o una donna senza peccato, o semplicemente una prostituta ingaggiata per strada; una specie di sesto senso poi confermato da anni di ricerche.
Elizabeth era rimasta legata a quel periodo veneziano così fervido di letterati e pensatori vissuto da suo padre. C’erano i francesi e gli inglesi assieme agli americani. Passeggiando nei pressi della Piazza (San Marco), non era così difficile imbattersi in un anziano Ezra Pound, o in un Josef Brodsky, probabilmente due antitesi esistenziali, e magari persino farci due chiacchiere.
Suo padre era un console inglese, o qualcosa di simile, e lei la figlia unica e problematica, cresciuta tra agi e vizi, ultimo quello dell’eroina che quasi le strappò la vita, ma che le fece anche conoscere l’unico uomo di cui si innamorò per davvero, un anziano gondoliere, un vecchio marpione, ma che ebbe il merito di farla uscire da quel tunnel.
Insistette molto nel raccontarmi anche di quel periodo buio, dove i tossici si facevano le pere sulle panchine tanto come fumarsi una sigaretta. Mi raccontò delle siringhe impiantate sui tronchi degli alberi, quelli teneri però, di quante conoscenti – mai amiche vere – abbia visto sparire ingoiate dal Dottor Sonno.
Andava spesso a trovale, ad esempio nella vicina Verona, così ricca, spumeggiante... bit, sfuggendo al controllo del padre. Si faceva in treno, anche da sola, e poi in compagnia sugli scalini della Gran Guardia, uno dei principali monumenti che fa da scenario alla piazza principale della città, assieme all’Arena, ovvio. Sì, proprio lì, mi disse, si facevano sulla scalinata, di fronte a tutti; turisti, ragazzi che andavano a scuola, mamme che spingevano il passeggino, vecchietti. Era una cosa normale. Una volta decollò ancora con l’ago infilato nel braccio e il laccio emostatico; quasi perse l’arto.
Finita questa lunga digressione rivolta al lato oscuro dei primi mitici anni ’80, così sincera e in contrapposizione al suo aspetto attuale, riuscii a chiederle di Robert, usando il miglior tatto possibile.
Me ne parlò in modo staccato, quasi impersonale, come stesse leggendo una biografia.
Robert era un ragazzo abbastanza sveglio, ma inconcludente. Anche lui ebbe dei problemini con la droga, ma bazzecole confrontati ai suoi. Qualche spinello e qualche pasticca quando andavano di moda nelle discoteche, niente di più.
Era inconcludente, capito; me lo ripeté almeno una dozzina di volte. Ma su due cose fu molto determinato: scialacquare completamente il gruzzolo lasciatogli dal nonno diplomatico, e immergersi totalmente, in maniera ossessiva, nella ricerca di notizie storiche di architettura. Ricordai che era iscritto a quella facoltà, ovviamente come fuori corso.
Il mio pensiero andò subito al suo famoso palazzo sparito, ma la signora Elizabeth non seppe dirmi altro di preciso.
Non mi parlò della scomparsa di Robert, come se in cuor suo, avesse voluto credere che semplicemente era partito, magari per un lungo viaggio attorno al mondo. L’assecondai.
Uso l’epiteto signora, in quanto della Ely che si faceva le pere sui gradini di Piazza Brà nella ricca Verona, e poi magari andava alle feste di calciatori o rock star, ben ben poco trapelava.
Contrariamente a suo figlio, seppe amministrare molto bene il patrimonio lasciatole dal padre, eredità ricevuta dopo la morte del vecchio gondoliere che probabilmente ne avrebbe approfittato. Me lo confidò con desiderio; suo padre lo scrisse proprio nel testamento olografo. “Ringrazio il Signore per aver fatto mancare il presunto padre di mio nipote Robert prima di questa mia...” Sorrise, fu una delle lezioni più importanti impartitele dal genitore. Non mi spiegò altro; forse intendeva che gli affetti non vanno mai mescolati al denaro.
Ritornati al punto di partenza di quella camminata, una lancia privata la fece salire a bordo assieme ai quattro barboncini. Sparita verso il Lido, ebbi la sensazione d’avere parlato con un fantasma, una figura eterea, stando chiuso all’interno di una bolla di sapone senza spazio né tempo.
Sarà per come si atteggiava, la sua presenza così singolare; quasi chic, la sua sincerità disarmante... se in cuor mio avessi sentito di avere un minimo di possibilità, mi sarei permesso di innamorarmi di quella donna così unica, davvero eterea e al contempo cruda.
A ripensarci oggi, dopo aver letto la prima parte della lettera codificata da Bob, mi chiedo se la sua sorprendente sincerità circa quel periodo buio, di quando era una tossica, fosse legata a quella notte folle vissuta con Robert di cui non ricordavo nulla, quasi volesse darne una giustificazione... ed ecco che di nuovo, un senso di vergogna accompagnato da un misto di orrore e pudore mi esce dalla viscere, dandomi, lo ammetto, un brivido di profonda eccitazione sessuale.
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Beh, spero che il romanzo vi stia piacendo. Fatemi sapere!
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