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Palazzo Surian Bellotto

Palazzo Surian Bellotto

II° – Bob Nerdonto


“Ciao geniaccio, com’è andata?”
Bob si gira scrutandomi da sopra gli occhiali, senza degnarsi d’alzarsi dalla sua vecchia sedia ufficio. Il grasso delle cosce trasborda dal cuscinone beige di velluto logoro, forse un tempo di un bel verde bottiglia. Dà una scrollatina di spalle, si accende la sigaretta. Ne gusta due boccate poi la spegne con cura nel posacenere come volesse risparmiarla.
Sorrido: “Sai che a ‘sto punto fai meno fatica a smettere del tutto?”
Non mi dà bado mentre con una spinta si catapulta dall’altra parte della stanza. A fianco di un computer dal grosso schermo a tubo catodico, ci sta la lettera di Robert.
Prende uno dei due fogli. Lo agita, dandomi le spalle, mentre con la mano sinistra digita sulla tastiera di fronte. L’enorme schermo d’improvviso prende vita da un lampo, come se prima stesse soltanto sonnecchiando. Il frizzare dell’elettricità, accompagnato da quel strano odore di vecchio ionizzatore, sembra propagarsi per tutta la stanza. Bob osserva intento i numerosi grafici tronchi, accompagnati da numeretti messi di fianco.
Bob Nerdonto: nerd + onto (unto), come lo chiamavano bulli e fighetti, è sempre stato appassionato di matematica spinta, oserei dire drogata, sì, psichedelica. Mi pare che in passato abbia anche risolto dei rompicapo, quelli da professionisti, roba da film americani. Sovrappeso, capello riccio sempre unto, ormai s’è per metà fottuto le gambe stando sempre su quella vecchia sedia a rotelline, per l’altra metà gli sta dando una buona mano il diabete.
Sta ancora agitando il foglio senza tanta premura.
Tu no ti preocupa Alvi, questa è carta pergamena, la puoi anche mettere in lavatrice e appenderla ad asciugare che te la ritrovi uguale... altro che supporti digitali del cazzo!”
Si gira d’improvviso: “Non è uno scherzo idiota, vero?”
Scuoto la testa, non capisco dove sta parando.
“No, in effetti, non sei il tipo,” borbotta tra sé.
Si accende un’altra sigaretta, vergine. Dà una boccata e, mentre espira il fumo denso come i meandri sabbiosi di un fiume, mi fissa di traverso; non lo facevo così noir.
“In che razza di merdaio mi stai mettendo Alvise? Ne sei proprio sicuro che è stata scritta dal tuo vecchio amico?”
Prendo animo: “Sì, tra quel groviglio di parole sono riuscito a capire che ha scoperto il palazzo che chiamava la rotonda: una sua fissazione, molto personale. Non sono però certo che si riferisse a quello della Giudecca. Poi parla di paura, di fuga, di spaesamento.”
“Di un cellulare che non prende!” Mi interrompe Bob avvicinandosi con una spinta quasi venendomi addosso.
“Il problema... sì, fosse solo questo, è che pare scritta nel ‘500. Per carità, serve un’analisi chimica sull’inchiostro ma sulla carta non ho dubbi.”
“Beh, carta del ‘500 te ne procuro quanta ne vuoi, forse anche dell’inchiostro immagino. C’è una miscela che si può ottenere con gli ossidi...”
“Bene-bene, allora qui sei tu l’esperto!”
Bob, sempre sulla sedia, ritorna verso il computer muovendo le gambe con un’insolita agilità; divertente.
“Quindi, fammi capire, il tuo amico ti sta facendo uno scherzo idiota. Spende un pacco di soldi per giocare un tiro a un professionista” – lo dice mimando le virgolette con le dita – “sapendo già che sarà sgamato da subito.”
“Che mi dici del testo? Che cosa sono tutti quei numeri sullo schermo? Quei grafici che cavolo sono?”
Bob li osserva, scuote la testa. Poi si gira, serio: “Perché sei venuto da me?”
“Mah, la lettera era illeggibile, scritta al contrario come allo specchio. Ho intuito che ci fosse qualcosa da decifrare, una base matematica su cui lavorare.”
“I codici di Leonardo, ovvio che li conosci, capisco... ma qui c’è di più Alvise. Avvicinati: vedi quelle linee più corte di fianco ai grafici, ecco: fai conto che le parole, idealmente, oltre che essere scritte su un normale piano fatto dagli assi x e y, si spostino su un ulteriore asse, chiamalo z se vuoi.”
“Cioè, fammi capire, x e y sono il piano che potrebbe essere il foglio di carta, poi ce n’è un altro?”
“Sì, bravo, tutto qua.”
“Cazzo! Una lettera tridimensionale!”
“Aspetta! Non ti ho detto tridimensionale. Il terzo asse, la z, potrebbe essere il tempo per dire...”
“Per dire?!”
“Sì, o magari il gradiente di un’emozione, di una conoscenza matematica, che diavolo ne–so–io!”
“E come ci sei arrivato?”
“Grazie a questo cervellone.” Batte in fianco al monitor sudicio di polvere elettrostatica. “In verità avevo tirato su il testo digitalizzandolo con lo scanner, ma qualcosa non mi convinceva. Così l’ho riscritto a tastiera tale e quale, ho applicato dei buoni algoritmi ed ho intuito questa anomalia del terzo asse e ci ho lavorato.”
Osservo il monitor poco convinto. Bob d’improvviso mi spinge via. “Ma che ci vuoi vedere tu?! Anche un astrofisico se ti dovesse mostrare i grafici dove scopre pianeti non ci capiresti niente, non è che fanno la foto al pianeta lontano anni luce e te la mostrano! Lo capisci questo?”
“Okay, okay Bob. Stampa quello che sei riuscito a... a... estrapolare, va bene?”
“Eccotelo, già estrapolato e stampato, quasi tutta la prima pagina.” Me lo allunga esibendo uno strano sorriso tra l’enigmatico e il sornione come c’avesse letto qualcosa di sordido che mi riguarda, un’espressione davvero insolita per il suo viso.
“E il resto?”
“Mi serve tempo Alvise, sai, tra una cosa vitale come una lettera e altri piaceri, sempre sperando che non sia uno scherzo, io dovrei anche lavorare ogni tanto, che dici?”
Mm... si sta facendo sarcastico; meglio togliere il disturbo: senz’altro vorrà essere pagato, magari con un acconto che adesso non mi posso permettere.
Esco senza salutare, tanto lui s’è già acceso il rimanente della bionda di prima, sta chino su un enorme tomo pieno di numeri e segni incomprensibili, forse lavorando a un altro problema insoluto o chissà quale congettura matematica.

La lettera


...e poi ti ordinano spara, spara, stando dietro le loro maschere enormi da gorilla grandi tutto il corpo da cui senti la voce amplificata, una è di donna, anche di bambina, ma tu in quella casa mica ci volevi stare, come se ti avessero drogato e spinto a fare questa cosa, mentre tu spari, che nemmeno sai come ne sei capace, uno dei tre tizi sparisce, sì, si dissolve assieme al candelabro d’oro che tiene ben stretto, no aspetta, non è un candelabro ma un astrolabio alla francese, come certe parigine, solo che questo non smette mai di parlare e dire cose in tutte le lingue del mondo perché sai che io le lingue a Oxford le ho studiate bene, solo che lui, l’astrolabio, parla attraverso un artefatto grottesco di lingua, denti e labbra di marzapane colorato, come fosse la testa mozza di un automa di Vaucanson, * ma poi d’un tratto emette un ticchettio rapidissimo che non è un Morse, ma una specie di codice binario e altre lingue moderne che solo le macchine sanno parlare tra di loro e chissà quali intelligenze non terrestri inteso non di questo nostro mondo,** e io mi dico come faccio a sentirlo ancora a parlare, anche se s’è dissolto col tizio che lo teneva con sé come se fosse un deus ex machina che predica a tutti noi e al mondo intero e mi chiedo come faccio io a capirlo se talvolta il codice binario è così veloce che sembra un fischio ultra-frequenza, ma io lo capisco lo stesso, così la maschera più grossa che ha intuito questo fenomeno cioè che lo sento pure io, mi afferra la pistola ancora fumante mentre il fischio binario 0111001101110000... mi dice spara anche a lui che aspetti, ma io non sono un assassino, sono un ipocrita perché non ti ho mai detto di quando dovevo ucciderti perché mia madre voleva tu morissi, quella brutta faccia che aveva mentre ti fissava nelle pupille nell’attimo in cui tu lasciavi il nostro mondo persona amico mio, sparo al tizio vestito da gorilla e la sua mano da gorilla gli esplode mentre gli altri due con voce di donna e bambina scappano giù dallo scalone nobile, col cuore che mi batte in gola mi guardo attorno e conto tre cadaveri, due di tipacci e il gorilla con la voce da uomo e senza mano, alzo gli occhi al cielo rimanendo rapito da un Tiepolo family,*** sicuro che sia loro, e mi metto a piangere perché ho desiderio di fuggire ma sono completamente in panico e spaesato, nel frattempo l’astrolabio ha smesso di parlare cedendo il fastidio a uno squillo via via sempre più forte, il mio vecchio telefono suona nella tasca, non lo sapevo che c’era, lo prendo apro il frontalino e dico pronto ma non risponde nessuno ma lui continua a squillare forse perché adesso non c’è campo...

[Carissimo Alvise. Non ti dico la fatica che ci ho messo a... estrapolarlo, come hai detto tu. Spero sarai generoso. Ho testato due algoritmi, quello più complesso da me modificato: ti assicuro che non vi è traccia di punteggiatura, è tutta un’unica frase. Ovviamente la mia bocca è cucita circa le notti brave con Robert... e sua madre. Ripeto: spero sarai generoso.]

Appoggio il foglio sul tavolo. Lentamente vado all’indietro con la schiena. Torco il collo sullo spigolo dello schienale. Sorrido al pensiero del ricattino; ecco che cos’era quel risolino enigmatico. Fa bene a ricordarmelo, mi procurerò i soldi, anche perché uno come lui dove lo ritrovo?
Osservo il foglio stampato sul tavolino. Mi sembra d’aver appena letto il flusso narrativo di qualche scrittore strafatto d’assenzio, per carità, mi ha catturato, eccome. Ora che ci penso, anche il mio amato Dürrenmatt deve aver scritto in questa maniera un suo libro. **** Mi abbandono ai pensieri. Affiora un ricordo, ammantato di sospetto e pudore, circa una di quelle notti brave passate con Robert. Il casinò, i superalcolici, la gara notturna in motoscafo, la corsa in macchina sul Ponte della Libertà con la Bentley di sua madre lanciata a tavoletta... sua madre, quella notte, un vago ricordo, il risveglio intontito nella camera degli ospiti, la testa che martellava, i conati di vomito, e giù promesse da piccolo scout di non sballarmi mai più. Percepisco del torbido, sta salendo, sto per ravanare nei meandri della mente tra i ricordi, poi, d’improvviso lo percepisco, come un’allucinazione: il palazzo. Stupito cerco di estrapolarne meglio le forme, per ricordarlo... estrapolarlo!? Com’è possibile?! ***** Mi allungo al tavolino e afferro il foglio. Lo fisso, ha scritto proprio così: “Ma che diavo–” suona il telefono.

***


Ho arricchito il testo con qualche nota di spiegazione, spero sia gradita.

* Lo strano oggetto parlante è nato dalla fusione di un astrolabio, uno di quei meccanismi dannatamente affascinanti che riproducevano i movimenti celesti, unito con un automa di Vaucanson, in questo caso ridotto alla mimica facciale parlante.
Vaucanson fu un pioniere di questo arte scientifica creando dei veri prodigi anche in grado di suonare. Se come me siete appassionati d’arte, sicuramente avrete visto – altrimenti guardatelo – La Migliore Offerta, di Tornatore. In questo film uno dei suoi automi... beh, praticamente fa da protagonista. Un astrolabio parlante, non automa, compare anche in una celebre puntata dei Simpson.

** Nonostante la complessità raggiunta dalle macchine informatiche, il codice binario di sole due cifre, o stati elettrici se volete, uno e zero, rimane immutato.

*** Sembra accertato che molti affreschi attribuiti al Tiepolo, in realtà siano stati eseguiti assieme al figlio Giandomenico, valente pittore anche se poco conosciuto.

**** Si tratta de L'INCARICO, un giallo composto da 24 capitoli in uniche frasi.


***** La forte perplessità di Alvise nasce dal fatto che è stato lui a usare la parola estrapolare proprio quando ha ricevuto il foglio stampato da Bob Nerdonto. Il fatto che questi ne faccia riferimento può essere dovuto a una distrazione di Alvise, oppure, forse, a un minimo paradosso temporale che ha saputo cogliere.



Spero che questa storia di laguna vi stia piacendo.

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